Sogni, ricordi e maestre: Genovesi si racconta

Le mie magnifiche maestre: l’intervista a cuore aperto con Fabio Genovesi

Fabio Genovesi è uno di quegli autori che non ti racconta solo una storia: ti ci butta dentro, ti ci trascina con affetto, ironia e un pizzico di incanto. Lo abbiamo incontrato in diretta Facebook dalla sede Fastbook di Sesto Fiorentino, circondati da un pubblico speciale: librai e libraie che amano le storie e sanno riconoscere quando un libro è nato per restare. E Mie magnifiche maestre, edito da Mondadori, è proprio uno di questi.

Uscito il 1° aprile, il libro sta raccogliendo grande entusiasmo tra lettrici e lettori. E dopo aver ascoltato Fabio parlarne con la sua consueta verve da narratore (non dimentichiamolo, è anche la voce del Giro d’Italia), è facile capire perché.

I sogni come ritorno a casa

Fabio ci racconta che Mie magnifiche maestre è arrivato da solo, a una settimana dal suo cinquantesimo compleanno. Stava scrivendo un altro libro, aveva anche avvisato Mondadori, quando, notte dopo notte, hanno cominciato ad arrivare loro: le donne della sua vita. Non solo parenti di sangue, ma figure femminili appartenenti a quella “famiglia del cuore” che tutti, chi più chi meno, conosciamo.

“Le mie magnifiche maestre sono comparse nei sogni: donne di casa mia, le mie nonne, zie vere, amiche che per me erano zie anche loro.”

Ma attenzione, Genovesi non le chiama “insegnanti”. Detesta la parola “insegnamento”, troppo rigida, troppo didascalica. Le sue maestre sono tutt’altro: sono portatrici di verità quotidiane, di gesti e parole che lasciano un segno.

“Quando sei ragazzino, guardi ai maschi per sapere chi diventerai. I miei zii erano quasi tutti marinai, tranne un paio che erano in galera. Il massimo del maschio. E io le lezioni delle donne allora non le ho colte appieno. Solo in seguito ho capito che erano le più preziose.”

L’identità è una trappola?

Tra i tanti aneddoti che Fabio ci ha regalato, uno ha commosso e fatto riflettere più di tutti. È quello della zia Delizia – “che era un uomo”, dice lui con il suo modo diretto e disarmante – che lo guardava da bambino e gli diceva:

“Tu mi piaci perché non sei né maschio né femmina. Non sei niente di preciso.”

Oggi, che l’identità è spesso una gabbia più che una definizione, questo suona come il complimento più grande.

“L’idea di essere qualcosa di preciso è una fregatura. Scrittore, libraio, uomo, donna… Ma chi lo decide? Essere precisi è spesso sinonimo di essere fermi, incasellati. E io non ci sto.”

Le donne che ci hanno cresciuti

Il libro è un inno a tutte quelle donne che hanno fatto la Storia con la esse minuscola, ma con un impatto enorme. Quelle che non erano aviatici, fotografe o esploratrici. Erano zie, madri, nonne. Donne che lavoravano, portavano avanti famiglie intere con intelligenza, affetto e spigole surgelate spacciate per pescato del giorno.

“È un’ingiustizia dire che valgono di più le donne che avevano i soldi e facevano cose spettacolari. Una delle mie zie teneva in piedi una casa con i bambini e un marito in mare per tre anni. Senza una lira. Quella è grandezza.”

E la forza di questo libro, come la forza di Genovesi, sta nel rovesciare la narrazione dominante, e nel farlo con dolcezza, senza proclami, ma con storie vere, imperfette e magnificamente umane.

Il sogno come verità

Un tema che attraversa tutto il libro – e tutta l’intervista – è quello dei sogni. Fabio lo dice chiaramente: i sogni possono equivalere alla realtà. Non sono simbolici, non psicoanalitici. Sono verità, un’altra verità. I sogni sono il luogo dove le persone amate tornano davvero.

“I sogni sono l’unico posto dove possiamo essere liberi. Possiamo abbracciare i nostri morti, rifare scelte, incontrare chi ci manca. È gratis. È reale.”

🎥 Riguarda la diretta Facebook di Fastbook con Fabio Genovesi:
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